“Custode Del Suono”
Raccontaci come nasce e come procede questo tour estivo di Irene Grandi in chiave blues.
Questo tour nasce come un esperimento che Irene ha voluto fare assieme ai suoi musicisti, approfondendo, dopo un anno complicato come questo, ciò che lei stessa definisce la sua “radice musicale”, ovvero il blues. La band è quella di sempre ma è arricchita per l’occasione dal maestro dell’organo Hammond Pippo Guarnera e propone sia classici che brani originali arrangiati in chiave blues. Il risultato è molto interessante ed il pubblico reagisce bene. Non stiamo facendo molte date (vista la situazione) però ci muoviamo nei principali festival blues ed abbiamo trovato tutti una nuova dimensione che ci piace molto, me compreso.
Sei backliner con Irene e lavori con la sua band da tempo: com’è nata e come si è evoluta la vostra collaborazione?
La collaborazione è nata cinque anni fa: Irene ritornava sulle scene dopo un breve periodo di pausa, cercava un backliner per una data e tramite OTR Live (con cui già collaboravo) ha trovato me. Il rapporto è andato bene da subito e da allora ho lavorato in tutti i suoi tour come unico backliner e “custode” degli strumenti.
Come hai iniziato a fare questo mestiere e cosa ti ha portato a specializzarti nella backline?
Come molti: suonavo la chitarra quando ero più giovane, volevo fare il musicista e poi ho deciso di passare “dall’altra parte” dello show. Ho frequentato un corso per tecnico del suono tenuto da Biancani presso la Fonoprint quando avevo vent’anni. Successivamente ho fatto pratica in un piccolo studio di Pescara, per poi lavorare con un service locale. Pian piano ho iniziato il mio approccio al live finchè – nel 2012– un service locale più grande mi ha ingaggiato come backliner di Dolcenera. Non avevo grande esperienza ma quando sei giovane fai le cose anche con un po’ di incoscienza! Da allora ho collaborato con molti artisti: Malika Ayane, Carmen Consoli (con cui lavoro tuttora), Alessandra Amoroso (con cui sono stato in tour l’anno scorso), Ron, Roby Facchinetti e molti altri.
Parliamo dunque di backline: cosa gestisci in questa tournée? Gli strumenti sono in qualche modo “declinati” in chiave blues?
In questo tour gestisco tutti gli strumenti: batteria, basso, chitarra e voci. A questi si aggiunge l’organo Hammond con il suo leslie, uno strumento piuttosto delicato che lo stesso Guarnera ha trasformato in un organo trasportabile (di solito non lo è), con tutti i problemi del caso. Quell’organo infatti ha viaggiato molto dagli anni ‘70 ad oggi ed è ridotto un po’ male, dunque richiede molta più cura degli altri, va trattato veramente con i guanti bianchi. Ma ne vale la pena, la sua presenza suscita molta curiosità nel pubblico.
Non sono state fatte altre scelte particolari rispetto alla strumentazione, eccetto per un’armonica ed alcune percussioni che Irene ha scelto di introdurre come novità rispetto al suo concerto in power trio. Credo che queste scelte in chiave blues siano anche frutto della sperimentazione che l’artista ha portato avanti insieme ad i musicisti durante il lockdown.
Entriamo un po’ dentro la tua professione: qual è la tua routine e come organizzi il tuo lavoro di data in data?
In questa produzione iniziamo il load-in nel primo pomeriggio, montiamo subito la strumentazione e in un paio d’ore siamo pronti per il soundcheck.
Solitamente il mio approccio parte da un’analisi tecnica della situazione di palco, spesso preceduta da uno scambio di email con il promoter, in cui cerco di capire se le nostre esigenze sono state rispettate, quindi procediamo con il setup: parto dalla batteria, proseguo con l’Hammond (la cosa più complicata) e concludo con chitarra e basso.
Si tratta di un tour in cui sono abbastanza rilassato e non ci sono particolari difficoltà, anche perché i musicisti sono dei grandi professionisti con cui lavoro davvero bene. Sono contento e quando c’è un clima di fiducia reciproca gli artisti possono salire sul palco ed iniziare subito a suonare, senza dover fare l’intero soundcheck. Inoltre c’è rispetto per tutte le figure coinvolte ed Irene, in primis, è sempre disponibile e gentile, non fa mai richieste che non possano essere esaudite. È un piacere lavorare con lei e con tutti loro.
Come sappiamo questa è un’estate particolare per i tour, con molte produzioni ridotte o mezze produzioni. Che tipo di scelte sono state fatte in questo caso?
Inizialmente questo tour doveva partire senza backliner e persino con strumenti richiesti sul posto, ma la cosa si sarebbe rivelata tecnicamente difficoltosa, in particolare per i musicisti che avrebbero dovuto girare senza backline né backliner. Perciò si è deciso di portare il minimo indispensabile, cioè gli strumenti ed i tecnici.
Due anni fa giravamo con la produzione completa; l’anno scorso solo con backline e banchi, trasportati da un autista in furgone. Quest’anno gli autisti siamo noi: abbiamo un mezzo con gli strumenti che – a turno – spostiamo a seconda della data. Oggi toccava a me.. sono partito da Pescara verso nord e vedremo chi della crew porterà indietro il carico.
Diciamo che, più che una mezza, siamo un “quarto” di produzione: non girando con i mixer rifacciamo il soundcheck ogni volta da capo, perché è raro trovare due volte gli stessi mixer, gli stessi microfoni e gli stessi monitor. Persino il microfono di Irene è richiesto in loco. Inoltre, dato il repertorio blues (che comporta molto interplay) soltanto Irene utilizza un in-ear monitor, perciò la band ha bisogno di suonare tre o quattro brani per sistemare l’ascolto. Ma siamo ben rodati ed in genere è tutto a posto in una quarantina di minuti.
Come vedi la situazione dei live in questo anno incerto? Cosa è cambiato e cosa cambierà secondo te?
Penso che, come ripercussione della pandemia, ci dovremo purtroppo abituare ad una minore presenza di pubblico ai concerti. È anche una questione di forma mentis: i lunghi mesi di lockdown hanno spaventato la gente e tuttora, nonostante il green pass e i vaccini (che però non tutti fanno), c’è la paura di un concerto affollato.
Oggi in furgone con Bighouse (alias Massimo Casagrande, ndr) ricordavamo alcuni tour fatti insieme, ad esempio quello con Alessandra Amoroso, che richiamava anche diecimila persone: beh, adesso mi risulta difficile pensare ad un live con quel numero di persone vicine tra loro! Non immagino neanche me stesso come spettatore là in mezzo, se non con gli stessi timori che oggi si hanno in giro per le piazze, al lavoro, al mare o in museo; c’è una certa paura del contatto fisico e questo secondo me ce lo porteremo avanti per un po’. In fondo il rock’n’roll è fatto di sudore di altre cose che vengono.. scambiate! Questo non accadrà più, almeno per un altro paio d’anni.
Anche se non è il mio caso, probabilmente vedremo anche budget in generale inferiori e quindi le produzioni saranno più piccole in termini di materiali, come nel caso di questo tour. Un grande merito che riconosco ad OTR è che, per non toccare le retribuzioni di noi tecnici ha cercato di tagliare altrove e fortunatamente qui non abbiamo avuto proposte di abbassare i nostri cachet.
Un’ultima domanda: dopo tanti anni sul palco vivi ancora con emozione il momento dello show? Cosa ti era mancato di più ultimamente?
Sì, l’emozione sul palco c’è sempre, specie dopo questo periodo di stop. La mancanza più grande che ho sentito era quella per il sub woofer.. (ride): sentire di nuovo la cassa nella pancia è stata una cosa bellissima! A casa puoi alzare il volume quanto vuoi ma la sensazione del sub non l’avrai mai! Ho ascoltato tanta musica durante il lockdown e ad un certo punto mi sono detto: “hey, mi manca qualcosa..”. Erano le basse frequenze della cassa e del basso!